Dagli anni ’90 in poi, la Cina si è conquistata una posizione di dominio nel mercato elettronico, diventando il più grande hub tecnologico nel mondo. Questo grazie sia al lavoro delle proprie aziende (come Huawei, Xiaomi, OPPO e vivo) che alla produzione per terze parti; la Cina ha attirato praticamente ogni compagnia tecnologica al mondo, forte della sua vastissima manifattura a basso costo, specializzandosi negli ultimi anni in filiere sempre più avanzate (vedi SMIC). Ma le società tech sono sempre più preoccupate dalle limitazioni derivanti dall’avere la Cina come nucleo produttivo per le proprie fabbriche.
Le tensioni geopolitiche iniziate con le politiche dei dazi del governo Trump non si sono esaurite col governo Biden; la situazione fra USA, Cina e Taiwan si sta facendo sempre più tesa, con Sud Corea e Giappone sullo sfondo nello scacchiere geopolitico a base di semiconduttori. Se già ciò non bastasse, i problemi della catena di approvvigionamento causati dalla pandemia non accennano a fermarsi, a causa dei lockdown che continuano a placare la nazione asiatica.
La Cina non è più un mercato facile per Big Tech e aziende tecnologiche
Il risultato di questa intricata situazione è che molti dei prodotti tecnologici che fino a qualche anno fa venivano prodotti esclusivamente in Cina adesso lo sono anche altrove. A partire già dal 2020, Apple ha spostato parte della produzione in Vietnam per dispositivi quali di AirPods, Apple Watch e iPad. Questo è un dato molto rilevante: Apple è un’azienda a dir poco importante nel tessuto economico/tecnologico cinese, con investimenti sul territorio pari a oltre 275 miliardi di dollari. Ma Apple è solo una delle tante società che stanno soffrendo l’instabilità della nazione, fra cui la crisi energetica che sta costringendo la chiusura delle fabbriche.
A proposito di Apple, anche lo storico partner Foxconn ha firmato un accordo da 300 milioni per la costruzione in Vietnam di una nuova fabbrica da 30.000 dipendenti; una cifra che si aggiunge agli oltre 1,5 miliardi precedentemente investiti nella nazione. Ma anche Google e Microsoft stanno spostando parte della produzione sul suolo vietnamita, fra smartphone Pixel e console Xbox. La comodità del Vietnam è la sua vicinanza con la Cina, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini logistici: tuttavia, questo spostamento ha provocato un innalzamento dei prezzi per i terreni industriali in Vietnam, e le aziende stanno studiando altre alternative.
Per esempio, Samsung ha dichiarato che sta investendo 1,2 miliardi in Malesia per la costruzione di nuovi impianti per la fabbricazione di batterie. Ma la nuova frontiera per la produzione elettronica sembra che sia l’India, che in più occasioni ha dimostrato di voler contrastare la storica rivale Cina e rendersi più indipendente sotto il profilo tecnologico. Sempre Apple ha deciso che espanderà la sua produzione di iPhone in India a partire dalla serie 14, ma anche Amazon sta spostando qua la produzione di Fire TV.
“Sempre più capitali ritireranno la produzione dalla Cina e troveranno un’alternativa“, afferma il creatore di Eclipse Venture Capital, fondo cinese di investimento sul mercato tecnologico. Ma la fondatrice di Instrumental, società americana di monitoraggio della filiera elettronica, aggiunge: “Tutti stanno pensando di trasferirsi, anche se non stanno ancora agendo“. Questo perché, nonostante i suddetti problemi, per ora la Cina rimane un centro produttivo nevralgico: dei 200 fornitori che compongono la catena produttiva di Apple, per esempio, 155 sono in Cina e solo 20 in Vietnam.
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