[Tecnologia e Futuro] L’evoluzione delle reti wireless

wireless evolution
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Se oggi gli smartphone rappresentano una porta verso un mondo di servizi e informazioni, un domani potrebbero diventare l’interfaccia principale tra il nostro alter ego digitale e le numerose funzioni smart portate in dote dall’internet delle cose. I nostri dispositivi, in altre parole, in questo ipotetico ma realistico futuro avrebbero il compito di controllare le apparecchiature elettroniche vicine per rispondere in tempo reale alle nostre esigenze.

Uno scenario del genere sarebbe possibile, tuttavia, solo grazie ad un fittissimo scambio di informazioni, e non sarebbe di conseguenza realizzabile in assenza di protocolli wireless potenti ed efficienti. Quest’ultima necessità rappresenta una vera sfida tecnologica che, entrata da tempo nel cuore delle aziende più lungimiranti, oggi sembra superabile grazie ad un vasto arsenale di nuovi standard ideati per rispondere ad esigenze specifiche.

protocolli wireless
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Oggi approfondiremo quindi la conoscenza della tecnologia MIMO, che è sfruttata da molti nuovi protocolli, e naturalmente analizzeremo caso per caso gli standard più interessanti e promettenti. Prima di continuare nella lettura, tuttavia, vi consigliamo (qualora non l’abbiate già fatto) di leggere il nostro precedente articolo sui protocolli attuali, dove abbiamo spiegato alcuni concetti propedeutici ad una buona comprensione di quanto diremo.

Per un segnale migliore: MIMO e le sue tante anime

Potrà sembrare banale, ma un segnale forte e pulito è di grande aiuto quando si vogliono ottenere connessioni stabili e veloci. L’utilizzo di onde elettromagnetiche particolarmente potenti potrebbe sembrare quindi naturale, ma la necessità di contenere i consumi ed i limiti legali (imposti dalla volontà di tutelare la salute pubblica) costringono tutti gli standard all’utilizzo di segnali di bassa potenza.

Dato che stiamo parlando di onde, tuttavia, la strada della potenza non è l’unica adottabile. Immaginate, ad esempio, di voler mandare un messaggio da una parte all’altra di uno specchio d’acqua utilizzando le onde create immergendo un bastoncino: queste si diffonderebbero egualmente in ogni direzione e l’informazione ben presto diventerebbe difficile da rilevare.

onda sferica 2d

Se i bastoncini in acqua fossero più di uno, d’altra parte, si potrebbe sfruttare l’interferenza massimizzare l’intensità delle onde lungo una direzione, che sarebbe naturalmente quella in cui vorremmo mandare il segnale. Abbiamo appena descritto un caso di beamforming in cui, inviando uno stesso segnale con più antenne e fasi opportune, si ottiene un’onda particolarmente forte nel punto desiderato.

Anche l’utilizzo di più ricevitori, d’altra parte, può essere molto conveniente per migliorare la qualità di un servizio wireless. Nella maggior parte dei casi reali, infatti, il segnale inviato è riflesso più volte prima di essere ricevuto, e può percorrere strade diverse per giungere ad uno stesso punto (multipath propagation). Nei protocolli wireless tradizionali solo l’onda che ha seguito il tragitto più breve (e dunque è arrivata prima) è tenuta in considerazione, ma in quelli di nuova generazione è possibile, confrontando il segnale di più antenne, utilizzare anche i pacchetti che sono arrivati in ritardo senza creare problemi di ordine.

mimo
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Utilizzando numerose antenne sia in invio che in ricezione, poi, si ha una configurazione MIMO (multiple-input and multiple-output) che è incredibilmente versatile per migliorare la qualità del segnale e, sopratutto, la velocità della connessione. Quest’ultimo obiettivo, in particolare, può essere raggiunto utilizzando sistemi di spatial multiplexing in cui ogni antenna in invio utilizza la stessa banda di frequenza e lo stesso protocollo per diffondere segnali diversi.

Questo scenario può essere paragonato al caso in cui in una stanza ci sono diverse persone che parlano contemporaneamente. Nel trambusto generale normalmente non sarebbe possibile distinguere le varie voci, ma con sufficienti informazioni spaziali (ottenuti ad esempio attraverso la vista) il nostro cervello può isolare il discorso di una persona da quello del vicino. Allo stesso modo l’utilizzo di un numero di antenne almeno pari a quello dei flussi di informazione consente all’apparato ricevente, tramite calcoli molto laboriosi, di ottenere informazioni sufficienti a ricreare i singoli segnali.

Mimo
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La tecnologia MIMO, poi, può essere utilizzata anche per rendere più robusto il segnale ed assicurare la copertura in punti che, con tecnologia tradizionale, non sarebbero raggiungibili a basse potenze. Questo scopo è raggiungibile sfruttando ad esempio lo spacetime coding, in cui lo stesso flusso di informazioni è inviato da più antenne con codifiche diverse.

L’idea di base è quindi quella di sfruttare la ridondanza, nella speranza che almeno una copia di ogni pacchetto, indipendentemente dalla codifica utilizzata, riesca a raggiungere il ricevitore. Anche in questo caso, tuttavia, il flusso originario è ricreato solo al costo di calcoli molto complessi (alcune versioni di space-time coding richiedono che il ricevitore usi l’algoritmo di Viterbi, ad esempio).

La maggior parte delle tecnologie MIMO, dunque, migliora la qualità del segnale utilizzando calcoli intensivi che, grazie ad un continuo sviluppo tecnologico, in futuro diventeranno sempre più accessibili sia energeticamente che economicamente. Un domani vedremo quindi sempre più spesso terminali dotati di più antenne, che sfrutteranno almeno una delle numerose possibilità di questa tecnologia.

Long Term Evolution

Le potenzialità di MIMO sono davvero molte e, se affiancate da un protocollo moderno, possono tranquillamente portare a connessioni incredibilmente veloci. Il vecchio UMTS basato su W-CDMA, da questo punto di vista, si è dimostrato nel tempo inadatto a raggiungere una bandwidth teorica di almeno 1 Gbit/s che, secondo l’ITU (International Telecommunication Union), è necessaria alle reti di quarta generazione (4G).

Per questo motivo il consorzio 3GPP, che ha già guidato lo sviluppo delle reti UMTS e HSPA, ha creato (con la 3GPP Release 8) un nuovo standard in grado di affrontare con successo le sfide del futuro. Ci riferiamo naturalmente a LTE (long term evolution), la tecnologia che ha spianato la strada al “vero 4G“.

true 4g
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Dobbiamo chiarire, infatti, che nella sua versione originale (release 8 e 9) neanche questo standard riusciva a soddisfare tutte le richieste dell’ITU e non rientrava, di conseguenza, tra le reti di quarta generazione. Il marketing, tuttavia, ha imposto questa denominazione, e l’ITU si è dovuto adattare creando la categoria True 4G (a cui appartiene LTE Advanced).

Il protocollo LTE, comunque, prevede che la trasmissione delle informazioni possa essere sia di tipo FDD che TDD (quest’ultimo è diffuso principalmente in Asia), con una larghezza di banda che può variare dai 1.4 MHz ai 20 MHz (un bel salto rispetto ai 5 MHz dell’UMTS). L’accesso multiplo al canale, poi, avviene grazie a OFDMA (Orthogonal Frequency-Division Multiple Access), cioè creando numerose sottoportanti ed assegnando una parte di queste ad ogni terminale.

Quest’ultima tecnologia, tuttavia, richiede l’utilizzo di amplificatori con ottime caratteristiche di linearità che sono molto costosi e poco efficienti. Per questo motivo in uplink il protocollo LTE prevede anche l’uso di Single-carrier FDMA, anche noto come linearly precoded OFDMA.

sc-fdma
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Si tratta, di fatto, di una versione modificata di OFDMA in cui al posto di utilizzare tante sottoportanti si utilizza la trasformata di Fourier discreta per inviare tutta l’informazione su una sola portante. Utilizzando la trasformata inversa, poi, la torre radio potrà ricostruire il segnale iniziale.

Sia in uplink che in downlink la trasmissione può avere diverse modulazioni, tutte basate su QAM (quadrature amplitude modulation). Di queste quella che garantisce minore bandwidth invia 2 bit per volta ed è comunemente nota come QPSK (quadrature phase-shift keying), mentre a salire si ha la 16-QAM (4 bit a volta) e la 64-QAM (6 bit alla volta).

QAM
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La volontà di arrivare al True 4G ha poi spinto il 3GPP a rilasciare il nuovo LTE-Advanced (3GPP release 10) che, pur essendo del tutto compatibile con la versione originale dello standard, prevede l’utilizzo di diverse tecnologie per aumentare ulteriormente la velocità di connessione. Questo è possibile in primo luogo utilizzando più canali allo stesso tempo (carrier aggregation), e introducendo modulazioni di ordine più alto (128-QAM e 256-QAM). MIMO, che è presente anche in LTE, è stato poi perfezionato con la possibilità di utilizzare fino a 8 stream in contemporanea.

Questo ha portato a connessioni che, sulla carta, dovrebbero essere incredibilmente preformanti. Si è passati, in particolare, dai circa 300 Mbit/s su 4 flussi MIMO in download di LTE cat.5 ai 3916.6 Mbit/s teorici su 8 stream di LTE-A cat.15. Dobbiamo ricordare, inoltre, che nel medio termine è prevista la definizione dello standard LTE Advanced PRO che dovrebbe segnare un ulteriore miglioramento della velocità di connessione (sfruttando ad esempio le frequenze prive di licenza) e, allo stesso tempo, lo sbarco di questo standard nel segmento della comunicazione diretta ed a basso consumo tra device (LTE-M).

LTE advanced Pro

Wimax, l’eterno rivale

Probabilmente saprete che LTE non è l’unica tecnologia 4G oggi presente sul mercato e che, teoricamente, anche Wimax (Worldwide Interoperability for Microwave Access) è una valida candidata per i nostri smartphone. Chiariamo subito, tuttavia, che l’attenzione dell’industria su questa tecnologia sembra essersi molto raffreddata negli ultimi anni, tanto che il divario prestazionale tra i due standard sta rapidamente crescendo.

Si tratta di una tecnologia nata inizialmente per portare la banda larga nelle aree metropolitane che, nella versione Wimax Advanced (IEEE 802.16m), rientra nel ristretto gruppo delle reti True 4G. Lo standard, in realtà, nasce dall’armonizzazione di tre differenti protocolli di trasmissione che, oggi, possono essere correttamente utilizzati da tutti i dispositivi certificati Wimax.

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Il primo di questi tre protocolli è WirelessMAN (IEEE 802.16), il secondo è il suo rivale europeo HiperMAN ed il terzo è WiBro. Quest’ultimo, in particolare, è lo standard coreano che sta alla base di Wimax mobile (IEEE 802.16e), che è l’unico davvero interessante per i nostri smartphone.

Lo standard, in particolare, prevede la trasmissione dei dati con OFDMA, con canali di larghezza da 1.25 MHz a 20 MHz e fino a 2048 sottoportanti. Al solito è molto utilizzata la tecnologia MIMO, e la modulazione è di tipo QAM (fino a 64-QAM). Si tratta, quindi, di un protocollo che poggia le sue basi sulle stesse tecnologie scelte dal ben più diffuso LTE e che, proprio per questo motivo, non ha riscosso un grande successo presso i gestori e le aziende.

wimax
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Il discorso è diverso, ovviamente, per quanto riguarda la versione non mobile dello standard che, potendo contare su bassi costi di installazione, svolge un ruolo importantissimo nella lotta al digital divide.

Connessioni a corto raggio: NFC, DASH7, Wireless HD, Wireless USB…

Spesso i nostri dispositivi non hanno bisogno di comunicare con la rete mondiale, ma semplicemente di dialogare con oggetti molto più vicini. Questa funzione, come abbiamo visto nello scorso articolo, oggi può essere eseguita grazie al protocollo Bluetooth che, tuttavia, si dimostra insufficiente in svariati scenari d’uso.

Supponiamo, ad esempio, di voler trasferire un grosso quantitativo di dati dal nostro computer allo smartphone senza utilizzare il cavo usb, di voler trasmettere un video verso un display o di voler sincronizzare in tempo reale un dispositivo a bassissimo consumo. In tutti questi casi il Bluetooth è del tutto inefficiente, ed è necessario utilizzare standard nuovi pensati appositamente.

wireless usb
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Per i casi in cui si richiedono trasferimenti veloci a bassa distanza, in particolare, si tenderà ad utilizzare frequenze molto elevate. Wireless USB, ad esempio, promette una bandwidth di 480 Mbit/s utilizzando una frequenza che può arrivare a 10.6 GHz, mentre Wireless Home Digital Interface e Wireless HD, nati per la trasmissione di flussi video, utilizzano rispettivamente i 5GHz ed i 60 GHz.

Non possiamo dimenticare, poi, quel WiFi-ad che è nato per rendere completamente wireless le case del futuro. Anche questa tecnologia si basa sulla banda dei 60 GHz e, come tutte quelle precedentemente citate, fa ampio uso di MIMO ed è basato su OFDMA. Molti di questi standard, comunque, sono destinati a scomparire o ad aggregarsi tra loro, e probabilmente gli smartphone del futuro saranno compatibili solo con un numero limitato di superstiti.

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La necessità di flussi lenti ma continui ed efficienti, invece, conduce in maniera simmetrica all’adozione di frequenze basse, come quelle scelte per ZigBee (2.4 GHz, 915 MHz e 868 MHz) e Dash7 (433 MHz, 868 MHz e 915 MHz). Si tratta, in particolare, di due protocolli nati per la gestione di sensori ed ideali alle future smart home, che dovranno comunque superare la concorrenza dell’analogo ed ormai prossimo WiFi-ah.

Non possiamo dimenticare, infine, tutte quelle applicazioni in cui la distanza tra le antenne deve essere di pochi centimetri. Non ci riferiamo solo a NFC (near field communication), che opera nei 13.56 MHz e nasce come evoluzione dei sistemi RFID passivi che troviamo comunemente come tag antitaccheggio, ma anche al ben più potente TransferJet, che opera sui 4.48 GHz e raggiunge velocità di connessione reali di 375 Mbit/s.

5G roadmap
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A questo arsenale di nuovi standard, infine, dovremmo aggiungere le nuove versioni di WiFi e le prossime tecnologie 5G che, purtroppo, sono ancora ben lontane dall’essere definite. La tendenza per il futuro è comunque ben chiara, ed un giorno potremmo arrivare a smartphone privi di porte esterne per la connessione via cavo. La possibilità di utilizzare un collegamento wired sarà quindi mantenuta solo per aggiornamenti e debugging.

Non vi sapiamo dire, quindi, quali di queste tecnologie sopravvivranno e se il futuro sarà davvero come lo abbiamo immaginato ma, per concludere, vi possiamo anticipare che la prossima settimana arriveremo finalmente al cervello dei nostri dispositivi ed analizzeremo il SoC, la RAM e la ROM!