Acqua calda GRATIS? Sì, con un SERVER sul BOILER! 

Fermi tutti ragazzi, non è un titolo clickbait e non voglio scoraggiarvi, o per lo meno non completamente: quello che avete letto nel titolo è tutto vero, ma purtroppo non nel nostro Bel Paese. La notizia ha fatto il giro dell’Europa negli ultimi giorni ed ha visto protagonista della vicenda il Regno Unito: e no, non stiamo parlando di una lodevole iniziativa dello Stato inglese, ma bensì di un progetto nato dalla collaborazione di due aziende del posto, volto a migliorare in primis la produttività delle stesse, ed in secondo luogo a fare un’azione di bene alle famiglie più bisognose.

Acqua calda GRATIS? Sì, con un SERVER sul BOILER! 

L’idea

Innanzitutto vi presento i protagonisti di questa vicenda: il primo è Civo, un’azienda fornitrice di servizi cloud, ed il secondo è Heata, che in sostanza si occuperà di fornire l’hardware ed il supporto fisico. Il progetto nasce dalla mente del CEO di Civo, che ha sostenuto essere alla costante ricerca di soluzioni più sostenibili per il suo business ed un progetto come questo può essere la strada giusta per ridurre le emissioni di carbonio e, nel contempo, aiutare le famiglie più bisognose dando un supporto concreto e tangibile.

Tra le voci principali di spesa di un’azienda di servizi cloud, server e via discorrendo c’è senza dubbio la voce dell’energia: energia elettrica per alimentare i server, ed energia elettrica per poter dissipare la grandissima quantità di calore che dei server montati in batteria sono in grado di generare. Vi siete mai imbattuti in quei video ironici online dove si può cuocere un uovo sul tegamino con il calore prodotto da una scheda video o da una CPU durante, ad esempio, attività di mining di criptovalute? Bene, per quanto il concetto possa sembrare ironico è di fatto realtà, e moltiplicate tale calore per migliaia di macchine attive allo stesso momento. Chiaro, no?

Secondo una statistica elaborata da Heata, partner di Civo in questo progetto che appunto prende lo stesso nome dell’azienda, il calore disperso in un data center come quello di Civo potrebbe fornire acqua calda a circa 11.000 abitazioni: un numero immenso, con il supporto di una sola azienda fornitrice di servizi cloud, dunque pensate se tutti adottassero tali strategie.

Dunque se la montagna, per forza di cose, non può andare da Maometto, va da sè che bisogna inventarsi qualcosa di più facile e sostenibile: è così che nasce Heata e il suo “computer” trasportabile studiato appositamente in un case di forma e dimensione ideale per poter essere posizionato accanto ad un boiler, senza difficoltà.

Ha una forma di un parallelepipedo, è lungo 40 centrimetri ed è spesso 11cm: meno della metà di un singolo computer ATX tradizionale. Grazie alla sua particolare struttura viene applicato mediante una piastra metallica laterale al serbatoio dell’acqua calda presente in casa con una particolare resina epossidica termica.

Ovviamente le domande che sorgono spontanee sono diverse, molte delle quali trovano risposta proprio nella sezione FAQ messa a disposizione da Heata nell’apposito fascicolo informativo destinato a chi vuole entrare a far parte di questa fase iniziale di “testing”. La prima domanda, la più scontata, è quella relativa il costo dell’energia elettrica: siamo sicuri che ad un cittadino convenga pagare l’energia elettrica consumata dal server, piuttosto che l’acqua calda? Lecita domanda, ma l’azienda ha pensato anche a questo: all’utente finale destinatario dell’impianto viene accreditato l’intero importo per l’energia utilizzata con una maggiorazione del 10% in più rispetto alla tariffa di mercato, per eventuali oneri di sistema o a compensazione delle decine di voci che compaiono sulle bollette costantemente.

L’altro dubbio, ovviamente, è quello relativo la connessione ad internet: bisogna esserne per forza dotati? Sì, ma nel caso l’utente non dovesse avere una connessione via cavo a casa, i server di Heata potranno essere anche dotati di modulo 4G/5G per poter essere del tutto autonomi e non gravare in alcun modo sull’utente finale.

Ma come funziona praticamente?

Tutto parte tramite il sito di Heata, a cui fare una richiesta di partecipazione al progetto: se si rientra tra i comuni selezionati come “Beta Tester” in UK si viene contattati direttamente da BritishGas (l fornitore principale di Gas del Regno Unito) che provvederà all’installazione dell’intero sistema, il quale sarà in grado di produrre fino a 4.8kWh di acqua calda al giorno, ovvero l’80% del consumo medio stimato per una famiglia, che consentirà di risparmiare circa 200 sterline all’anno.

Il computer possiede una piattaforma hardware basata su CPU Intel Xeon a 56 core e si occuperà di operazioni di finanza computazionale, analisi del rischio, ricerca, modelli climatici e rendering in 3D: il dato importante è che si tratta di server che non effettueranno calcoli in tempo reale, motivo per cui la loro attività può essere anche effettuata durante le ore notturne. La rumorosità del sistema è di circa 20dB, meno della metà di un frigorifero che produce circa 50dB o un asciugacapelli che può raggiungere i 90dB.

Cosa ci guadagnano, dunque, Heata e Civo in tutto ciò? Delocalizzando i server nelle case degli cittadini inglesi Heata consuma il 56% di energia di quanto ne consumerebbe all’interno di un data center dove dovrebbe essere dissipato in modo attivo, oltre al consumo dell’acqua calda che, in questo modo, è prodotta gratuitamente. Le due aziende stimano un risparmio di emissioni di Co2 per ogni dispositivo installato di circa una tonnellata all’anno.

La fattibilità in larga scala

Al momento questo progetto è in fase embrionale e di sperimentazione e non è diffuso ancora in larga scala: ogni domanda è soggetta ad approvazione e sono necessari dei requisiti tecnici e strutturali per far sì che l’operazione vada in porto. Il sistema e l’idea in sè sono sicuramente molto interessanti, ma necessiterebbero ovviamente di alcune migliorie per far sì che la distribuzione in larga scala avvenga senza problemi.

Per far sì che questo sistema funzioni e questo concept possa essere diffuso in più paesi è necessaria la collaborazione di altre aziende come Civo, in quanto da sola Civo non potrà mai essere in grado di fornire un sistema scalabile, potenzialmente, all’infinito: è impossibile che Civo abbia bisogno di un numero di server X crescente a tal punto da poter soddisfare almeno il 50% della popolazione del Regno Unito (e oltre).