Da quando realtà importanti quali HiSilicone SMICsono state bannate dagli USA, per la Cina si è intensifica la volontà di slegarsi dal resto del mondo nella produzione dei chipset. Da tempo la nazione ha messo in piedi un vero e proprio programma di indipendenza chiamato Made in China 2025. Il piano strategico prevede che la Cina si allontani dall’attuale immagine stereotipica che il mondo ha di essa. Quando pensa alla Cina, l’utente medio pensa a fabbriche a basso costo, coadiuvate da manodopera di basso livello. L’obiettivo è quello di alzare l’asticella, divenendo un punto di riferimento qualitativo e non un “discount della tecnologia” da cui le altre nazioni possano attingere con facilità.
Il piano di indipendenza nei chipset della Cina è a dir poco ambizioso
Per perseguire il programma Made in China 2025, la Cina prevede un aumento del 70% dell’utilizzo di materie prime ed attrezzature realizzate in casa. Un passo in avanti che renderebbe il paese più indipendente dai paesi stranieri e dalle problematiche che possono derivare in contesti socio/politici come quello attuale. La presidenza Trump ha dimostrato di poter contrastare in maniera consistente l’operato cinese. E anche con la presidenza Biden le cose potrebbero non cambiare poi così tanto, date le tensioni derivanti dal trattamento degli uiguri in Cina. Senza contare i dissapori con l’India, sempre per motivi geopolitici, da cui sono nati movimenti nazionalisti anche in ambito tecnologico.
Made in China 2025 è un piano a dir poco ambizioso. Per quanto la Cina sia in una posizione di vantaggio, allontanarsi in toto dalle altre nazioni sarà quasi impossibile, almeno nei prossimi anni. Secondo le società di ricerca di settore, nel 2025 i chipset prodotti in Cina rappresenteranno solamente il 19,4% del mercato interno. Una percentuale ben lontana dal 70% prefissato e molto più vicina al 15,9% riscontrato nel 2020 e al 10,2% del passato 2010.
Non solo: di tutti i chipset prodotti in Cina nel 2020, solo il 36,5% è stato realizzato da compagnie interamente cinesi. Il restante 63,5% è nelle mani di produttori stranieri, come le taiwanesi TSMC e UMC, le coreane Samsung e SK Hynix, la statunitense Intel ed altre realtà meno conosciute. Sempre secondo le previsioni di IC Insights, nel 2025 la produzione di chipset in Cina dovrebbe rappresentare il 7,5% del mercato globale, con un indotto pari a circa 43 miliardi di dollari.
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Nonostante la Cina sia un punto di riferimento per la produzione tecnologica mondiale, la nazione non ha chipmaker rilevanti su cui fare affidamento per rendersi indipendente. Negli anni, il paese ha investito pesantemente su aziende come Huawei, ZTE, SMIC e Tsinghua Unigroup. Queste hanno anche tentato allargare il proprio operato, ma il ban USA e le relative sanzioni hanno rallentato il tutto. Nel mentre TSMC e MediaTek pensano già ai prossimi chip a 5 e 3 nm, SMIC è ancora ferma alla produzione di chip a 14 nm. Per poter competere sono necessarie attrezzature come le macchine EUV, prodotto dall’olandese ASML. Ma il ban USA impedisce ad essa di acquistarle, previa autorizzazione del Dipartimento del Commercio americano.