Uno degli aspetti di maggior rilievo nella scelta di uno smartphone è senza ombra di dubbio la durata della della batteria che, come ben sappiamo, spesso tende ad essere insufficiente a coprire un’intera giornata di utilizzo.
La causa è da attribuirsi a molteplici fattori, uno dei qualiè da ricercarsi principalmente nelle tendenze del mercato che, attualmente, richiedono dispositivi sempre più potenti, con schermi dalle risoluzioni elevate e dallo spessore sempre più ridotto, a discapito dell’amperaggio delle batterie in dotazione e, di conseguenza, anche dell’autonomia delle stesse.
Tuttava, sembrerebbe essere stato raggiunto un primo obiettivo per ovviare a questo problema: nel Maggio 2015 alcuni ricercatori della Stanford University hanno sviluppato un nuovo metodo di utilizzo del Litio, riuscendo a colmare in parte uno dei suoi principali difetti, ovvero la perdita nel tempo della capacitĂ di trattenere e trasmettere la carica.
Per fortuna, quindi, laddove non arrivano le aziende produttrici, sembrano intervenire i ricercatori e, da tempo, anche le “software house”, queste ultime con delle implementazioni software tali da aumentare l’autonomia dei nostri dispositivi.
Il software, infatti, è un altro elemento che influisce in maniera negativa sull’autonomia se mal ottimizzato e, stando a dei dati recentemente diffusi, un telefono in stand-by consumerebbe circa il 46% della batteria.
Ma da cosa è dovuto questo così alto consumo?
Una delle cause è da ricercarsi nelle apps installate e nei loro servizi di background che “risvegliano” il dispositivo per svolgere le normali funzioni per le quali sono state concepite. Ed è proprio su questo elemento che va ad agire lo strumento di cui oggi vi parleremo.
Un’applicazione per eseguire comandi in tempo reale, quali la ricezione di notifiche, ha bisogno di restare attiva nella RAM, ma se l’ app in questione “abusasse di tale privilegio” a causa di un bug, o semplicemente per l’elevato numero di interazioni richieste (un esempio potrebbe essere Facebook con la sua costante ricezione di notifiche), si andrebbero ad avere consumi anomali, con conseguente diminuzione dell’autonomia, derivati dall’impossibilità di mettere il device realmente in stand-by.
Anche in questo caso, la soluzione arriverebbe da alcuni ricercatori della Purdue University che sembrerebbero riusciti, in parte, a limitare il problema.
Lo strumento realizzato dai ricercatori della Purdue prende il nome di“Hush” e permetterebbe la chiusura di tutti quei processi ritenuti inutili secondo le nostre abitudini di utilizzo. Hush, infatti,è in grado di apprendere in che maniera utilizziamo lo smartphone andando a chiudere quei processi non necessari e, quindi, senza influire sulla nostra normale esperienza d’uso. Di seguito un video che ne spiega il funzionamento.
Utilizzando Hush si è, di fatto, ottenuto un risparmio concreto del 15,7%. Logicamente questa non è una soluzione definitiva, ma va ad ottimizzare un aspetto del software troppo spesso trascurato.
Per tutti coloro che volessero provarlo, Hush è disponibile per il download a questo indirizzo su GitHub in via del tutto gratuita, altro fattore a testimonianza dell’impegno disinteressato dei promotori della ricerca, interessati esclusivamente a trovare una soluzione a questo sempre più comune problema.
UPDATE: l’applicazione è ancora in fase di sviluppo, al link è possibile visualizzare lo stato di avanzamento.
Cosa ne pensate voi di questo strumento?
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