Italvolt: perché la Gigafactory italiana rischia di fallire prima di partire

italvolt gigafactory

Aggiornamento 16/03: il progetto Italvolt potrebbe spostarsi in un’altra zona dell’Italia, trovate tutti i dettagli a fine articolo.

Sorgerà a Scarmagno (zona Torino) la prima Gigafactory in Italia a opera di Italvolt, con la volontà di renderla una delle più grandi in Europa e nel mondo. Il mega-edificio dovrà produrre fino a 45 GWh all’anno in celle agli ioni di litio di nuova generazione, destinate alle batterie per veicoli elettrici, macchinari industriali, stoccaggio di energia e altro ancora. Un obiettivo decisamente ambizioso, ma che sta incontrando non pochi problemi per il suo raggiungimento. Non solo l’Italia è il paese in cui Alessandro Volta inventò la batteria nel XIX secolo, ma rappresenta anche uno snodo nevralgico nel corridoio pan-europeo e nell’industria automobilistica europea. Questo lo sa bene Italvolt, il cui progetto prevede una Gigafactory da 300.000 m² che dia lavoro a circa 3.000 dipendenti. Il piano rientra nelle intenzioni dell’Unione Europea, intenzionata a raggiungere la neutralità carbonica per il 2050 e rendersi più indipendente dalla Cina per la produzione delle batterie. Tuttavia, il progetto di Italvolt ha subito un brusco stop dopo aver scoperti i problemi strutturali che affliggono la zona attenzionata.

Italvolt vuole costruire la prima Gigafactory in Italia, ma i dubbi sul progetto sono diversi

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Nell’area di Scarmagno sorgeva un tempo il polo industriale Olivetti, ormai abbandonato da 30 anni. Il problema riguarda la sua rete elettrica, non in grado di sostenere l’alto carico energetico richiesto da una Gigafactory; secondo le stime, assorbirebbe qualcosa come l’1% di tutta l’energia elettrica che circola in Italia. Dopo averne discusso con il gestore nazionale Terna, Italvolt fa sapere che l’intenzione di investire e risolvere c’è, creando elettrodotti specifici per soddisfare la richiesta energetica, ma il problema è nelle tempistica. “Ci vogliono 4 anni“, afferma l’azienda: troppi, se si considera che la Gigafactory dovrebbe partire per il 2025, a causa dei rallentamenti burocratici dovuti dalle autorizzazione richieste. Un problema non solo italiano ma anche europeo, come lamenta la compagnia svedese che ha trovato l’enorme giacimento di terre rare che potrebbe rendere l’Europa più indipendente dall’Asia ma che rischia di essere operativo fra troppi anni.

Il patron di Italvolt, Lars Carlstrom, ha tenuto a specificare che il progetto della Gigafactory italiana non è stato interrotto, anche in virtù dei finanziamenti internazionali ricevuti. Ad averlo rallentato potrebbero esserci anche costi di bonifica troppo alti per la zona di Scarmagno, nonostante i 10 milioni investiti da Italvolt per perizie e lavori vari; per questo, l’area piemontese rimane la prima scelta, nonostante sia stata avviata la ricerca di alternative; e si pensa già a una seconda Gigafactory italiana: come afferma Carlstrom, “sto pensando ad un’altra regione per una seconda fabbrica“. In tutto ciò, c’è chi dubita delle intenzioni di Italvolt, dopo che la Britishvolt, fondata sempre da Lars Carlstrom, è attualmente in fase di bancarotta. Egli si difende affermando di esserne uscito prima che venissero fatti gli investimenti che l’hanno portata al fallimento, oltre far presente di non aver usato finanziamenti pubblici per Italvolt, nonostante il suo compimento beneficerà la nazione; a tal proposito, ha aggiunto che “tra qualche settimana svelerò il nome di un grande investitore estero che vuole scommettere sulla mia Gigafactory“.

Si punta alla Sicilia | Aggiornamento 16/03

Dopo aver selezionato l’area di Scarmagno in Piemonte, il progetto Italvolt ha un’altra destinazione: Termini Imerese, cioè dall’altra parte dell’Italia in Sicilia. Il piano prevede investimenti pari a 3,5 miliardi di euro e 3 anni di tempo per costruire l’impianto in cui saranno impiegati 2.000 lavoratori, e la zona scelta sarebbe quella dell’ex area FIAT. Attualmente quest’area è di proprietà del produttore automobilistico Blutec, e sono in corso le discussioni con sindacati italiani e istituzioni locali per capire se affidarla o meno alla società di Lars Carlstrom. Come afferma Antonio Nobile di Fim Cisl, si tratta di un “progetto ambizioso che non intende attendere fondi pubblici ma partire con investimenti privati“, seppur i 5 milioni di euro previsti per la partenza venga ritenuta una “somma esigua rispetto alle previsioni finanziarie complessive“.

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