Big Tech deve pagare per usare le reti europee: la proposta che fa discutere

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Aggiornamento 07/02: si aggiungono nuovi dettagli alla spinosa questione fra Europa e Big Tech, trovate tutti i dettagli a fine articolo.

La Commissione Europa sta ricevendo sempre più pressioni affinché i cosiddetti Big Tech contribuiscano di tasca propria per l’utilizzo delle infrastrutture di rete europee. È questa la richiesta da parte di nazioni come Italia, Francia e Spagna, il cui desiderio è che le autorità competenti sviluppino una legislazione che richieda un finanziamento economico obbligatorio da parte delle principali aziende tecnologico. Il riferimento è a realtà come Alphabet (Google), Meta (Facebook, Instagram e WhatsApp), Amazon e Netflix, per citare alcune delle principali.

Big Tech deve contribuire economicamente alle infrastrutture: la richiesta dell’Italia (e non solo)

Non è la prima volta che l’Europa si scaglia contro il monopolio internettiano delle compagnie Big Tech, ma è la prima volta che Italia, Francia e Spagna si alleano di comune accordo per raggiungere questo obiettivo. A partire dallo scorso maggio, le autorità di regolamentazione digitale dell’Unione Europea sta valutando se le compagnie in questione debbano effettivamente contribuire economicamente al sostentamento delle reti europee.

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Come riporta il documento ottenuto da Reuters, Big Tech occupa il 55% del traffico internet. E “questo genera costi specifici per gli operatori di telecomunicazioni europei in termini di capacità, in un momento in cui stanno già investendo enormemente nelle parti più costose delle reti con 5G e Fiber-To-The-Home“, come riporta il documento. Di conseguenza, la richiesta è quella che i grandi fornitori di servizi e contenuti digitali contribuiscano in maniera equa a questi costi di rete.

Come riporta lo studio del gruppo di lobby delle telecomunicazioni ETNO, un contributo annuale di 20 miliardi da parte dei Big Tech significherebbe una spinta di 72 miliardi per l’economia europea. Non mancano preoccupazioni da parte degli attivisti digitali, secondo cui un contributo del genere minerebbe alla neutralità internettiana in Europa. In tutto ciò, non possiamo non ricordare che all’orizzonte si staglia il Digital Market Acts, quella serie di leggi europee che si prospettano cambieranno il volto del mercato tech.

Nuovi dettagli | Aggiornamento 07/02

Di recente, l’Europa ha stilato un piano d’espansione il cui obiettivo è che nel 2030 tutti i cittadini europei siano dotati di connessione Gigabit. Tuttavia, secondo ETNO, questo obiettivo è difficile raggiungibile e si rischia che 45 milioni di europei non siano raggiunti né da fibra ottica né da 5G. Attualmente, infatti, una rete 5G stand-alone non esiste e ci si appoggia ancora alle vecchie infrastrutture, e l’impressione è che gli operatori telefonici possano aver fatto il passo più lungo della gamba con investimenti miliardi in quelle reti 5G che ancora molti non possono utilizzare.

È questa una delle osservazioni più critiche quando si parla della volontà da parte dell’Unione Europea di imporre alle Big Tech di investire per utilizzare le infrastrutture di rete europee. Come indica uno studio stilato da ETNO, se nel 2021 gli operatori hanno investito 56,3 miliardi di euro nelle infrastrutture, le compagnie tech hanno investito solo 1 miliardo, spendendo invece 16 miliardi nei propri data center che sì, contribuiscono alla rete globale ma con beni di proprietà esclusiva. E se i guadagni degli operatori ammontano a circa 0,46 miliardi per dipendente, quelli di realtà come Netflix e Meta toccano 2,33 milioni.

Uno squilibrio che si ritrova al tavolo delle trattative, dove per ETNO anche il più grande degli operatori telefonici non ha voce in capitolo quanto una Big Tech. Sarebbe quindi necessario creare un canale diretto nonché una politica che crei negoziazioni più equilibrate fra le due parti. Non solo un contributo di 20 miliardi l’anno dalle Big Tech porterebbe a una spinta da 72 miliardi per il PIL europeo: secondo le stime di ETNO si parla anche di 840.000 posti di lavoro entro il 2025 e consumi ridotti del 28% ed emissioni ridotte del 94%.

Ma i dubbi non riguardano solamente gli investimenti azzardati da parte degli operatori europei, ma anche il rischio che le decisioni della Commissione Europea possano minare il futuro in merito a innovazione e investimenti delle aziende estere. Senza contare la minaccia alla neutralità della rete, indicando il modello Sending-Party-Network-Pays lanciato in Sud Corea nel 2016, secondo cui chi più contenuti genera e invia più paga ai fornitori di telecomunicazioni affinché i propri dati arrivino agli utenti; ricreare un modello del genere incentiverebbe ulteriormente un oligopolio tecnologico in cui solo i principali fornitori di contenuti possano sostenere spese simili.

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