Le aziende cinesi denunciano Amazon per essere state bannate

amazon ban

Nel corso del 2021, tutta una serie di aziende cinesi è finita vittima del ban di Amazon. In realtà definirle “vittime” è generose, perché c’è una causa ben precisa per cui il noto sito di e-commerce ha deciso di estrometterle dalla propria piattaforma. Ma adesso alcune di queste società hanno deciso di far sentire la propria voce, presentando una denuncia collettiva contro lo store di Jeff Bezos.

Scatta la rivolta delle aziende cinesi che sono state estromesse da Amazon

Chi segue il panorama tecnologico, in particolare quello delle offerte su gadget vari (a tal proposito, seguiteci su GizDeals!), probabilmente vi sarete accorti che da Amazon sono spariti diversi brand anche piuttosto noti. Mi riferisco a nomi come Aukey, ma anche Mpow, Victsing, RavPower e Choetech, per citare quelli più celebri nel mondo dell’oggettistica elettronica. Mouse, tastiere, caricatori, powerbank, cavetteria, cuffie e chi più ne, più ne metta: fino a qualche mese fa, su Amazon bastava cercare uno di questi oggetti per trovare fra i più venduti almeno uno di questi marchi.

Marchi spesso ben voluti dai consumatori, in particolare Aukey che è forse il brand il cui ban da Amazon ha suscitato più scalpore. Ma il motivo del ban non è legato alla qualità dei prodotti, bensì alla violazione del regolamento che la compagnia applica ai venditori che decidono di usufruire della sua piattaforma. Nello specifico, la reiterata meccanica dell’incentivare recensioni positive per aumentare la popolarità del brand e dei suoi prodotti su Amazon. Incentivi che potevano presentarsi come coupon all’interno delle confezioni di vendita o, nel “migliore” dei casi, come veri e propri omaggi nei confronti degli acquirenti più in vista.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg che Amazon si è trovata ad affrontare. Tolti i succitati cinque brand noti ai più, le aziende che l’azienda si è trovata costretta a bannare sono molte di più. Per l’esattezza, la scure si è abbattuta su almeno 600 marchi cinesi e 3000 account venditore.

Fatto questo doveroso preambolo, cosa sta succedendo in questi ultimi giorni? Come anticipato ad inizio articolo, diverse aziende cinesi toccate dal ban hanno deciso di sporgere denuncia contro Amazon. Presentata presso il tribunale statunitense nel distretto di California, la denuncia è stata stilata da un insieme di compagnie come Sopownic, Slaouwo, Deyixun, Cstech, Recco Direct, Angelbliss e Tudi. L’oggetto della diatriba legale non è sulla causa del ban, quanto sulla volontà di recuperare i fondi trattenuti da Amazon. La class action ha come obiettivo quello di “fermare qualsiasi ulteriore appropriazione indebita e uso improprio di fondi che sono legalmente e giustamente dovuti a migliaia di venditori e commercianti Amazon“.

Stando alle affermazioni delle compagnie cinesi coinvolte, Amazon starebbe trattenendo “da diverse centinaia a centinaia di migliaia di dollari” dei guadagni dichiarati. Nel caso di Recoo Direct, Amazon starebbe trattenendo una somma pari a oltre 236.000 dollari. Tuttavia, il Services Business Solutions Agreement applicato nei confronti dei venditori sembra essere chiaro: Amazon si riserva la “discrezionalità” sulla decisione di trattenere o meno dei fondi in caso di violazione del regolamento. D’altro canto, le aziende controbattono che l’accordo FBA prevede che Amazon dovrebbe essere consapevole della distribuzione dei prodotti e quindi dell’eventuale presenza di coupon al loro interno. Non resta che attendere per vedere come si evolverà la situazione e se alla class action si uniranno anche marchi più noti.

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