La storia si ripete: Huawei accusata di spionaggio contro Cisco

huawei cisco

Era il 2002 quando Cisco accusò per la prima volta Huawei di un presunto infrangimento di proprietà intellettuale (di cui vi abbiamo parlato in un passato editoriale). Allora il problema era relativo al furto di codici sorgente dei router Cisco: la causa si concluse due anni dopo con un accordo confidenziale. Sono passati molti anni da allora, anni in cui Huawei ha attraversato diverse altre controversie: nel 2010 con Motorola, nel 2014 con T-Mobile ed infine nel 2019 con Akhan Semiconductor. Per non parlare del ban USA, una condizione che ha messo a dura prova il business dell’azienda. Adesso un’altra brutta tegola si sta per abbattere sull’azienda cinese, con un’inchiesta de La Stampa che la mette di nuovo contro Cisco.

La storia mette al centro della scena una serie di sotterfugi messi in atto da Huawei ai danni di Cisco. La società avrebbe fatto pressione sui propri dipendenti affinché riuscissero ad effettuare reverse engineering su alcuni prodotti Cisco. Per chi non sapesse di cosa si tratta, il reverse engineering consiste nel prendere un oggetto, analizzarlo e realizzarne un altro, uguale ma migliorato.

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Una nuova inchiesta ai danni di Huawei: alcuni informatori parlano degli atti illegali contro Cisco

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A parlarne sono stati diversi informatori interni all’aziende, alcuni anonimi, altri no. A schierarsi pubblicamente è Daniele Di Salvo, Senior IP Test Design Engineer impiegato presso il Huawei German Research Center di Monaco di Baviera. Secondo le sue dichiarazioni in merito all’inchiesta, alcuni dipendenti avrebbero subito pressioni dai vertici di Huawei per effettuare queste manovre di ingegneria inversa sulla piattaforma Cisco NSO. Acronimo che sta per Network Service Orchestrator, utilizzata per mettere in comunicazione router ed impianti cloud fra aziende.

A seguito delle minacce di licenziamento ricevute, Daniele e gli altri dipendenti avrebbero contattato via mail il centro di Monaco di Baviera per informarli dell’accaduto. L’accusa parla di un muro del silenzio da parte della società, rimasta immobile a seguito delle denunce in questione. Contattata da La Stampa, ecco quanto comunicato:

Huawei si impegna a rispettare completamente i diritti di proprietà intellettuale delle terze parti. La nostra azienda ha implementato un sistema di conformità avanzato, che previene qualsiasi potenziale comportamento scorretto da parte di dipendenti o dei partner. Huawei ha tolleranza zero per qualsiasi azione illegale dei dipendenti che possa danneggiare i diritti di proprietà intellettuale di terze parti. Non esitiamo a far rispettare tutte le misure legali più appropriate di conseguenza.

Anche accuse di razzismo contro i dipendenti Huawei

In mezzo all’inchiesta ci sono anche accuse di razzismo in seguito a comportamenti tenutisi contro dipendenti di differente razza e credo. Anche in questo caso Huawei ha respinto le accuse, sottolineano come tali argomenti siano soggetti ad una struttura societaria che permette ai lavoratori di denunciare eventuali atti del genere. Viene fatto notare come queste denunce non vengano gestite da Huawei, però, bensì da revisori esterni a cui l’azienda si affida per far sì che ci sia una gestione imparziale sopra le parti. I manager hanno affermato di non essere in grado di fornire informazioni sul presunto accaduto, non potendo verificare se ci siano state effettivamente delle segnalazioni in merito o meno.

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