Censura in Cina: su WeChat non si può parlare di Coronavirus

coronavirus

È ormai palese a tutti che l’allarme Coronavirus abbia preso un’impronta globale. Oltre ad aver impattato in maniera forte da noi in Italia, anche altri paesi sono stati toccati, al punto di far annullare eventi della caratura del MWC 2020. Ma è indubbiamente la Cina la nazione maggiormente colpita, dove il virus è stato contratto dal maggior numero di persone. La situazione che si è creata non soltanto ha generato lo sconforto della popolazione, ma ha anche messo a dura prova l’economia, locale e non. E forse è anche per questo che WeChat ha deciso di… metterci una pezza, anche se in maniera a dir poco ambigua.

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Il Coronavirus non è gradito in casa WeChat: messaggi censurati in chat

Come scoperto dagli analisti, è dall’1 gennaio che i server di WeChat censurano la parola “coronavirus”. Lo documentano i test effettuati dal team di Citizen Lab e della Università di Toronto. Sono state effettuate delle prove di conversazione fra tre account, due sul suolo canadese ed uno su quello cinese. I messaggi di prova comprendevano sia parti testuali che link ad articoli e, come potete vedere, il risultato è ben diverso a seconda della nazione.

wechat coronavirus censura

Prima di gennaio, i server di WeChat censuravano 132 combinazioni di parole, mentre da dopo la seconda settimana del mese le parole censurate sono salite a 516. E fra queste troviamo, appunto, la parola “coronavirus“: nel caso la si scriva, l’intera frase non viene inviata. Se si considera che l’utenza di WeChat comprende 1 miliardo di utenti mensili, è altamente probabile che molti utenti si siano persi comunicazioni importanti riguardanti l’epidemia.

Per quanto sia giusto tenere dei toni moderati, specialmente quando si tratta di notizie ambigue se non addirittura false, è innegabile che un comportamento del genere non vada a favore di WeChat. Specialmente quando si censurano notizie e dati fattuali o addirittura il nome di Li Wenliang, il dottore che per primo informò la nazione del contagio. La stessa situazione è accaduta su YY, portale di streaming in stile Twitch, dove sono state aggiunte altre 45 parole bannate da inizio anno.

Per quanto venga da puntare il dito verso le aziende coinvolte, non è da escludere che si tratti di un’imposizione che arriva dal Governo. Anche perché si è già vociferato che l’amministrazione Jinping abbia “messo le mani” sull’operato di social come WeChat e Twitter per controllare la condivisione di informazioni sul coronavirus.

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